sabato 11 ottobre 2014

Come non fare verifiche (3 di 3) - Le speranze

Negli ultimi mesi mi è capitato di discutere su "come fare verifiche", sia
come auditor, sia come consulente (dove le verifiche hanno lo scopo di
raccogliere informazioni per un "assessment").

Un terzo approccio sbagliato prevede di svolgere verifiche dei piani e delle
procedure, senza verificare come sono attualmente i processi. Questo
approccio è un derivato del precedente e anch'esso prevede l'uso di una
comoda sala riunioni per tutta la durata della verifica.

Certamente i piani di miglioramento futuri sono importanti perché danno
conto di quanto un'organizzazione sia attenta alla realtà che la circonda e
voglia adeguarsi, per quanta fatica questo comporti.

Però non riesco a considerare efficace un processo di sviluppo perché è
previsto che tra un mese saranno svolti i test di quanto consegnato ai
clienti, mentre fino ad oggi non lo si è mai fatto. Oppure efficace un
processo di continuità operativa perché oggi si sta finendo di redigere i
piani di continuità.

Interessante vedere come il "processo alle intenzioni" sia reputato una
cattiva pratica, ma invece si consideri corretto il "processo alle buone
intenzioni".

Ancora una volta: agli auditor e ai consulenti è richiesto di valutare la
conformità a standard, politiche e procedure o l'efficacia dei processi
attraverso prove materiali (o, per cattiva traduzione, a "evidenze"). Non
attraverso le buone intenzioni.

Ho purtroppo l'impressione che chi propugni altri metodi lo faccia per
pigrizia (lato auditor) o per furbizia (lato auditee), ma questo è fare solo
del male alla cultura di "buona gestione".

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