sabato 18 giugno 2011

Business Continuity e Incident Management (parte 3)

Sempre sul BCM (il post numero 2 è su http://blog.cesaregallotti.it/2011/05/un-contributo-su-business-continuity-e.html).

Dante Verona mi fa notare quanto segue.

"Ho un modo diverso di argomentare il mio punto di vista, ed è quello che considero più concreto ed efficace ed è in linea con standard BS25999.

Il BS25999-2:2007, al punto 4.1.1.2.c, dice: "The organization shall: establish the maximum tolerable period of disruption for each activity by identifing:....."

E, richiamando la definizione di Maximum Tolerable Period of Disruption presente nello standard stesso, troviamo: "duration after which an organization's viability will be irrevocably threatend if product and service delivery cannot be resumed"

Quindi io escluderei i piccoli incidenti se con piccoli intendiamo quelli che non minacciano la sopravvivenza della organizzazione. E il motivo di ciò per me è molto concreto. Confinare gli scenari BCM è una questione di successo del programma stesso."

Io credo che Dante parli della "parte di BCM per grandi eventi". Per i piccoli incidenti c'è invece il "BCM per piccoli eventi" (dove la gestione degli incidenti è regolamentata da SLA basati anche sul termine di urgenza, proprio per evitare che un "normale incidente" diventi grande). Fanno parte tutti e due del BCM, ma sono affrontati con metodi e tecniche distinte. In fase di analisi si individuano cosa fa parte dell'una e dell'altra e poi vengono affrontati distintamente per garantire il successo del programma (applicando la corretta filosofia del problem solving che prevede di dividere un problema in sotto-problemi più facilmente risolvibili).

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