A luglio, con perfetto tempismo, ben tre clienti mi hanno chiesto cosa ne pensassi dell'uso di check list per gli audit. La mia risposta è stata: "non le ritengo utili, anzi, le ritengo dannose". Non sono un genio e a questa conclusione sono arrivato dopo aver usato delle check list e averne visto i difetti.
Come auditor di certificazione, la mia check list dovrebbe essere la norma di riferimento. Ovviamente, negli anni, ho creato degli appunti relativi ai requisiti più sintetici e ad alcuni settori merceologici; però non costituiscono assolutamente una check list.
Come auditor interno, i requisiti da verificare sono le procedure e regole interne, e quindi svolgo l'audit con quelle, non con un'altra cosa (le check list). Infatti: perché dovrei avere un documento di riferimento (la check list) diverso da quello che hanno le persone da intervistare (le politiche e le procedure)? Se ho difficoltà ad orientarmi tra regole e procedure, perché dovrei pretendere che non ne abbiano gli intervistati? Se ci sono regole scritte solo sulla mia check list e non nelle regole e procedure consegnate al personale, come posso pretendere che le seguano? Perché, quando necessario, invece di aggiornare un solo documento bisogna aggiornarne due? Come faccio a capire se una procedura è scorretta, incompleta o poco chiara se non la leggo insieme alla persona intervistata e mentre mi illustra come applica i requisiti stabiliti?
Anche qui non sono completamente impreparato: sul piano di audit riporto le procedure applicabili ad ogni intervista e prima di ogni intervista rileggo le procedure e mi segno i punti più importanti da verificare.
Certamente le check list compilate possono dimostrare che l'audit è stato fatto completamente. Ma anche un rapporto di audit, con riportate le procedure analizzate e le prove raccolte, lo può fare.
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