Voglio qui parlare della scuola media, dopo 3 anni vissuti come padre, perché gli uomini possono aiutare i ragazzi con i compiti, partecipare alle assemblee di classe e discutere con gli altri genitori anche sulle temutissime chat dei genitori.
Cercherò di evitare l’effetto Dunning – Kruger. Cercherò anche di collegare alcune riflessioni sui sistemi di gestione, di cui invece ho qualche competenza. Premetto anche che la mia esperienza è limitata ai miei figli (e uno non le ha ancora finite) e a confronti con altri genitori.
Uno. Il nozionismo è aumentato, nonostante già negli anni Ottanta era criticato (è anche aumentato il peso dei libri, anch’esso criticato all’epoca).
Due. I temi, e quindi l’esercizio di esprimere opinioni ed esercitare la creatività, non sono più necessari, anche se poi l’esame di terza ne prevede uno con 3 tracce (a mio figlio è stato assegnato un solo tema, neanche argomentativo, e ha avuto un libro da leggere all’anno, non di più).
Tre. I test Invalsi sono spesso scollegati dalle solite verifiche, soprattutto in Italiano (comprensione del testo, mentre nei 3 anni le verifiche erano state di grammatica e di storia della letteratura) e matematica (30 domande a cui rispondere in 75 minuti, mentre le verifiche nei 3 anni consistevano in alcune domande puntuali, un paio di problemi di geometria e un paio di espressioni o equazioni di algebra).
Quattro. La scarsa considerazione dei ragazzi con DSA. Infatti nei test Invalsi, gestiti dal Ministero, non valgono le misure compensative, tranne l’aggiunta di tempo e la lettura sintetica al computer.
Cinque. Ai ragazzi non sono insegnate le modalità per organizzarsi. Non è insegnato come si usa il diario, come si presentano le verifiche (ho visto usare fogli di ogni tipo e gran sorpresa per la professoressa che in terza voleva che scrivessero bene nome e cognome e data nell’intestazione), come si organizzano i quaderni e gli appunti.
Sei. Gli stessi insegnanti sono disorganizzati e lo si vede da come assegnano i compiti: a voce o alla lavagna di fretta a fine lezione, sul registro elettronico o su un sistema di condivisione file a qualsiasi orario anche nel fine settimana.
Sette. I ragazzi sono deresponsabilizzati rispetto agli anni Ottanta. Infatti adesso sul registro elettronico vengono scritti i compiti, i voti e le note, spesso senza neanche dirlo ai ragazzi. In passato erano i ragazzi a doverli comunicare (o nascondere) ai genitori, ora sono i genitori, e non gli insegnanti, a comunicarli al ragazzo.
Otto. Gli insegnanti non hanno ricevuto istruzione su come insegnare, né sulle caratteristiche dei ragazzi con DSA (disturbi specifici di apprendimento). Questo ha poi una conseguenza: se loro dimostrano di non essersi impegnati a capire le difficoltà di questi ragazzi, sono ritenuti ipocriti, e quindi ignorati, quando richiedono impegno.
Questo ha anche impatti sociali importanti. Infatti i più bravi, con famiglie che li seguono bene, vanno avanti, mentre i meno bravi (in particolare quelli con DSA e gli immigrati o i figli di immigrati che hanno difficoltà di lingua e di capacità di supporto) vengono anche umiliati. Il risultato è che iniziano ad allontanarsi dalla scuola e a frequentare “cattive compagnie”, con tutte le difficoltà che ne conseguono.
Una prima analisi delle cause è che alcune deviazioni si siano presentate piano piano senza però una vera riflessione sulle conseguenza finali. Per esempio: l’aumento del carico di lavoro, da “ingozzatoio”, come dice Daniela Lucangeli, è corretto? l’uso incontrollato degli strumenti informatici da parte dei professori che effetti positivi e negativi potrebbe avere? Le 6 ore di scuola al giorno per 5 giorni al posto di 5 ore in 5 giorni sono adeguate per i ragazzi (a parte i genitori e gli insegnanti)? Anche strumenti come le interrogazioni a sorpresa dovrebbero essere analizzati se veramente utili, anche perché all’università non ci sono. Insomma: manca una pianificazione.
A mio parere, una seconda analisi delle cause, riguarda l’aumento del nozionismo, che lo ha reso centrale rispetto a tutto il resto e riempie completamente il tempo disponibile, con una conseguente frenesia e disorganizzazione anche da parte degli insegnanti.
Però alla fine sappiamo che la causa profonda è il mancato impegno della Direzione. In questo caso il Ministero dell’istruzione. Infatti, più o meno nell’ordine:
- non sono chiari gli obiettivi delle medie (ingozzatoio di nozioni o apprendimento di un’organizzazione?);
- le poche indicazioni per le competenze reperibili sono incomprensibili (il Decreto del MIUR 254 del 2012 con titolo “Regolamento recante indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell'infanzia e del primo ciclo d'istruzione” non dice quasi nulla, ma in 74 pagine);
- gli Invalsi costituiscono un’eccezione alle misure compensative per i ragazzi con DSA; se il Ministero non le ritiene valide, non si capisce perché debbano farlo i professori;
- gli insegnanti sono selezionati sulle nozioni relative alle materie di insegnamento, non sulle modalità di insegnamento, sulla pedagogia, sulla psicologia, su come affrontare i ragazzi con difficoltà, eccetera;
- non sono fornite indicazioni chiare e semplici da leggere agli insegnanti e alle famiglie (su questo bisogna riflettere che i professori della secondaria inferiore sono circa 155 mila ed è assurdo pensare che ciascuno possa inventarsi una professionalità senza un supporto, che non può neanche essere fornito dalle scuole, sempre più accorpate con la presenza di tanti ordini di studio);
- c’è l’illusione che si possa seguire un approccio personalizzato per alunno e istituto e professore e materia, quando sappiamo che così non è né può essere, considerando i grandissimi numeri;
- le poche indicazioni sono difficili da reperire (sul sito del MIM ho trovato solo le “Linee di indirizzo per favorire il diritto allo studio degli alunni adottati”, sotto la voce “URP”, ufficio relazioni con il pubblico, come se non riguardassero l’insegnamento), a differenza delle esternazioni sporadiche del ministro di turno;
- sono chiesti ai professori sempre più adempimenti burocratici, che tolgono loro tempo ed energie all’insegnamento (lungi da me criticare ogni forma di burocrazia, ma un esempio emblematico è la “certificazione delle competenze”, documento scorretto teoricamente e inutile da un punto di vista pratico, ma fa carta).
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